Alla Soprintendenza Archeologia -L E C C E-
e, p.c.: Al Sindaco del Comune di - O R I A -
Oggetto: Oria (BR) - Castello Svevo di Federico II (1227/1233). Interruzione del pubblico godimento delle Torri dal 2007. Mancato ripristino dovuto per legge.
Si apprende dalla stampa, malgrado le profuse attenzioni della Soprintendenza, che la proposta di musealizzazione nel Castello è fallita perché la proprietà non ha accettato le limitazioni imposte in sede di apposita conferenza preliminare dei servizi circa l’uso degli spazi e attività commerciali, così pretendendone la destinazione a scopo di lucro, mentre l’interesse generale reclama il pubblico godimento del Castello dovuto per legge, limitato almeno alle Torri e derivante dalla nota cessione in permuta di tale storico bene demaniale, avvenuta nel 1933.
Ripercorrendo l’iter che dette luogo a tale cessione, e quindi alla sdemanializzazione del maniero federiciano, non dovrebbero esserci dubbi che il ripristino dell’apertura al pubblico godimento delle Torri è dovuto per legge.
Ai sensi dell’art. 20 del R.D. n. 3036 del 7 luglio 1866, a cui fece seguito il decreto luogotenenziale 21 luglio 1866, n. 3070, l’Amm/ne del Fondo per il Culto, con verbale del 21/7/1879, cedeva e consegnava il Castello al Comune di Oria per il giustificato bisogno e l’uso di scuole, di asili infantili, di ricoveri di mendicità, di ospedali, o di altre opere di beneficenza e di pubblica utilità.
Le Torri, con accesso autonomo dall’esterno del maniero su terreno comunale, rese fruibili sin dal 1885, furono restaurate e messe in sicurezza dal Ministero della Pubblica Istruzione con progetto redatto dall’Ufficio del Genio Civile di Lecce nel 1884, a cui fece seguito quello del 1920, finanziato con fondi anche del Comune.
Il maniero in questione deve intendersi altresì quale bene culturale “inalienabile” di cui alla legge 12/6/1902 n. 185.
A tal proposito si deve pertanto rilevare che la legge 20/6/1909 n. 364 (cui fece seguito il R.D. n. 363 del 30/1/1913 ancora vigente), successivamente integrata dalla legge 31/5/1928 n. 1240, all’art. 2 consentiva che gli immobili degli Enti pubblici potevano essere alienati anche a favore dei privati soltanto “quando non derivasse danno alla loro conservazione e non ne fosse menomato il pubblico godimento”. Prescrizione senza la quale il bene demaniale non poteva essere ceduto ai privati.
Tornando alle note vicende nel 1933, ai sensi dall’art. 45 e seg. del R.D. n. 363/1913 (non potendo essere diversamente) un privato fece richiesta di permutare il suo vasto edificio (da convertire in Municipio) con il Castello. Alla domanda di alienazione, tra l’altro, la norma richiedeva di allegare un compromesso da cui risultassero la volontà di acquistare e le condizioni a cui l’acquisto sarebbe avvenuto (comma 2, lett. b), che comunque non costituisse impegno definitivo fino a quando non sarebbe intervenuta l'autorizzazione del Ministro.
Il Podestà del Comune, con due simili note di prot. n. 1705 e 1706 dell’11/4/1933 dirette ai Ministeri interessati, così precedute da trattativa con l’acquirente, chiedeva a sua volta l’autorizzazione alla permuta, precisando che la stessa sarebbe avvenuta facendo “obbligo” all’acquirente di restaurare il Castello, e che il medesimo si sarebbe assunto altresì “l’obbligo” di <<far visitare le Torri, a scopo culturale e storico, ai cittadini e forestieri nei giorni e nelle ore che egli stesso andrebbe a designare>>.
La domanda era quindi del tutto propedeutica ad una effettiva cessione del bene ed il permesso richiesto non fu generico, ma disposto ad hoc a favore dell’acquirente nominativamente indicato e con il quale erano stati concordati ed accettati tali “obblighi”, ovvero: il restauro del Castello per farne dimora, e il limitare la visita solo alle Torri. Ciò appunto nel pieno rispetto di quanto si prefiggeva la norma, ossia che il bene venisse conservato e che non ne fosse menomato il pubblico godimento.
Con nota prot. n.1958 del 28/4/1933, in risposta alla nota prot. n. 443 del 27 aprile del Soprintendente Opere Antichità e di Arte della Puglia di Taranto, inviata p.c. al R. Ispettore per Monumenti e Scavi di Antichità di Oria, il Podestà confermava che la richiesta dell’acquirente era “esatta”. Tanto a riprova che le modalità di cessione erano state preventivamente concordate ed accettate dalle parti.
Successivamente fu adottata la delibera podestarile n. 137 del 20/5/1933, (dove tra l’altro si evince che il terreno dove posa la scala di accesso alle Torri continuava a rimanere di proprietà del Comune).
Delibera che fu poi approvata dalla Giunta Prov/le Amm/va nella seduta del 21/8/1933 con parere favorevole ai sensi della legge 21 giugno 1896 n. 218.
Furono quindi rilasciate le autorizzazioni e i prescritti pareri come richiesti dalla legge: del Ministero P.I. di cui alla nota n. 7744 del 17/8/1933, su conforme parere del Consiglio Superiore Antichità e Belle Arti che si era espressa nell’adunanza del 12/7/1933; autorizzazione del Ministero Interni, Fondo per il Culto di cui alla nota del 10/8/1933.
Il Prefetto, con proprio decreto del 28/8/1933 n.27, rendeva dunque esecutiva la delibera n.137/1933 e autorizzava la permuta.
Fece seguito la stipula del contratto, redatto dal Capo Ufficio del Registro di Francavilla Fontana (BR) il 3/11/1933, registrato nel medesimo ufficio in data 7/4/1934 e volturato il 31/8/1935 con nota n.987.
Contemporaneamente al passaggio di proprietà, sul Castello venne posto il vincolo di “importante interesse” per impedire iniziative di trasformazione di adattamento che non ne pregiudicassero il carattere. Per quanto non espressamente detto in contratto, “come anche per l’accesso alle Torri”, le parti si rimenarono all’allegata delibera podestarile n.137 del 1933 e al decreto prefettizio del 28/8/1933”.
L’anzidetto vincolo di “importante interesse” all’epoca non esisteva sui beni demaniali, e fu disposto per la prima volta dal Ministro al momento della cessione di che trattasi per garantirsi il controllo che assicurasse la continuità di conservazione e la fruizione di un bene ex-pubblico.
L’acquirente, venuto in pieno possesso del bene, ottemperò esaurientemente alle prescrizioni di legge, conscio degli “obblighi” che si era assunto: restaurò il Castello, che ne fece dimora propria, e “designò” l’apertura delle Torri al pubblico, con il suo piccolo ma ricco museo, tutti i giorni dell’anno dal mattino al tramonto.
In seguito venne approvata la legge 1/6/1939, n. 1089, in materia di tutela delle cose di interesse artistico, storico, archeologico ecc. che, tra l’altro, tornava a sancire la “inalienabilità” dei beni appartenenti al demanio; in attesa di un nuovo regolamento, continuava ad essere in vigore (e lo è ancora) il R.D. n. 363/1913. Venne anche approvata la legge n.1249 dell’11/8/1939 in materia di agevolazioni fiscali alla categoria catastale A/9, benefici ancora in atto, dipendenti dall’obbligo di apertura al pubblico dei relativi beni culturali.
Si sono poi succeduti tutti gli altri “vincoli” e “disposizioni” che continuano a gravare tuttora sul Castello.
Dopo la morte del primo acquirente, avvenuta nel 1955, il Castello è passato agli eredi fino al 2007 e le Torri sono rimaste sempre aperte al pubblico godimento con le medesime modalità; gli ultimi lavori di manutenzione ordinaria sono stati eseguiti a seguito della concessione edilizia n. 139 del 24/11/1997 rilasciata dal Comune di Oria.
Questo è stato l’iter storico della cessione al privato del Castello demanio comunale, avvenuta nel rispetto della legge perché altrimenti inalienabile.
Con rogito preliminare Rep n. 17125 del 2/7/2007, il Castello è stato nuovamente venduto e le Torri con il museo sono state sottratte al pubblico godimento. I nuovi proprietari, sin dall’inizio, hanno manifestato la volontà di riapertura al pubblico godimento solo al rilascio di concessione per attività commerciale nel palazzo feudale, certamente a scopo di lucro. Una richiesta alquanto pretestuosa, considerato che il bene acquisito ha una destinazione che esclude l’uso per attività commerciale.
La Soprintendenza, interpellata per il caso specifico sull’obbligo di ripristinare la fruizione pubblica delle Torri, riferiva (nota del 17/10/24 - 33626-P): <<che dall’analisi dei documenti d’archivio in suo possesso, ha accertato l’assenza di prescrizioni relative al Complesso, finalizzate alla pubblica fruizione; che, dopo ulteriori ricerche d’archivio, pur avendo riscontrato l’esistenza di note interlocutorie riferite al 1933 in cui veniva indicato l’obbligo di far visitare le Torri, a scopo colturale e storico, tale denominato “obbligo” non risulta essere stato mai formalizzato e/o trascritto, né risulta alcun riferimento ad eventuali condizioni e/o prescrizioni>>.
Ergo, alla Soprintendenza è del tutto ignoto che le Torri, con l’annesso museo, sono state oggetto di pubblico godimento dovuto per legge per ben 73 anni (1934-2007). Senz'altro sa - o dovrebbe sapere - che il Castello, sequestrato dal G.i.p. del Tribunale di Brindisi in data 27/3/2013, fu affidato in custodia al Sindaco di Oria, il quale rinunciò a tale custodia; da giugno 2013 a luglio 2015 venne quindi affidato, ad uso gratuito, alla Associazione “Legambiente di Oria”, che in collaborazione con il magistrato realizzò numerose aperture e le Torri furono visitate da ben 12.000 visitatori.
In merito alle asserzioni della Soprintendenza vi è così da precisare quanto di seguito.
Le condizioni. Sono (o dovrebbero) essere contenute nel compromesso allegato all’istanza di alienazione fatta dall’acquirente (1933), così come richiesto dal comma 2, lett. b) dell’art. 45 del R.D. n.363/1913. Per cui egli “designò, conformemente all’impegno assunto per legge, l’apertura delle Torri tutti i giorni dell’anno, dal mattino al tramonto.
La “prescrizione”. Dal punto di vista etimologico, indica letteralmente lo scrivere, o imporre, qualcosa a qualcuno, nella sostanza evocando l’atto di porre una norma da parte di chi ne ha autorità al cospetto di chi la deve osservare. Per cui l’autorizzazione ministeriale alla cessione poteva essere rilasciata solo con la prescrizione «purché non ne derivi danno alla conservazione e non ne sia menomato il pubblico godimento» - in questo caso limitato alle sole Torri -, a garanzia che la disciplina previgente assicurava.
“Presunto Obbligo”. Dall’esame degli atti sopra citati si desume tranquillamente la pacifica sussistenza dell’obbligo del pubblico godimento.
La trascrizione. Giuridicamente costituisce un onere per le parti ed in particolare per l’acquirente ed è anche un obbligo per il pubblico ufficiale rogante. Se le prescrizioni non furono trascritte, come anche il vincolo di “importante interesse” imposto nello stesso rogito di cessione, è perché tale formalità non era contemplata dalla legge n. 364 del 1909 ed è stata prevista soltanto dalle leggi successive (n.1089/1939 e seguenti).
Per ultimo, il D.Lvo 42/2004, integrato dal D.L.vo 62/2008, l’art. 55/bis comma 1, precisa “che le prescrizioni e le condizioni contenute nella autorizzazione sono riportate nell’atto di alienazione, del quale costituiscono obbligazioni, e sono trascritte nei registri immobiliari per costituirne clausole risolutive espresse”; per cui alle alienazioni precedenti non si applicano le disposizioni della legge n.1089/1939 concernenti la trascrizione delle prescrizioni e dei vincoli.
Ad ogni buon conto, nella specie, la dottrina prevalente sostiene “che le obbligazioni discendenti direttamente da una previsione normativa possono prescindere dalla trascrizione, visto che in quel caso l’obbligo si imporrebbe ex lege sull’acquirente”.
Ma condizioni, prescrizioni, o obblighi (comunque “obbligazioni”) seguono automaticamente ogni passaggio di proprietà da un titolare all’altro, nelle forme prescritte per il rilascio dell’autorizzazione all’alienazione, come richiesto a seconda dei casi dagli artt. 55 e/o 56 - Capo IV - Sez. I - del D.Lvo n.42/2004.
La salvaguardia del bene e il pubblico godimento dello stesso rappresentano i pilastri per i beni culturali.
Infatti, la giurisprudenza ha chiarito come la disciplina preveda un “complesso di misure di carattere reale che sono finalizzate a salvaguardare il bene da ogni possibile compromissione o da limiti all’accessibilità da parte della collettività nel momento in cui si determina il mutamento del titolo di proprietà”. Quindi, la dismissione del bene da parte dell'ente pubblico non deve risolversi in pregiudizio della integrità del bene e del pubblico godimento, ma salvaguardare il bene da ogni possibile compromissione o da limiti all'accessibilità da parte della collettività nel momento in cui si determina il mutamento del titolo di proprietà (Cons. di Stato, Sez. VI – sentenza n. 2984 del 05/06/2007).
Nel caso del Castello di Oria, ex bene pubblico, la modalità di fruizione deve continuare per legge quella consolidatasi nel passato, senza quindi che ciò comporti alcun aggravio per l’attuale proprietario rispetto al passato.
Tanto al fine di continuare a preservare l’accessibilità da parte della collettività per consentire la percezione dei valori storico – artistici espressi da detto bene (Cons. di Stato, Sez. VI – sentenza n. 2586/2017).
Per ultimo, la circostanza induce a segnalare l’esistenza di un ritrovamento archeologico all’interno delle mura del Castello. Nel lato sud-est della Piazza d’Armi, a pochi passi della Torre del Salto, è posto l’autentico ipogeo dei SS. Crisanto e Daria che, secondo la tradizione degli storici locali, doveva fare parte dell’antica Chiesa che il Vescovo Teodosio aveva eretto nell’880. Bene dichiarato di interesse particolare e sottoposto a disposizioni di tutela, che è stato anch’esso di pubblico godimento fino al 2007 ed ora inibito.
Pertanto, per quanto sopra esposto, si esorta l’On/le Ministro a voler disporre il ripristino del pubblico godimento delle Torri e del museo, nonché dell’ipogeo del Castello Svevo di Federico II sito in Oria (BR), interrotto a seguito della vendita del bene nel 2007.
Oria, li 26/03/2025
Cosimo Schirinzi - ORIA